Carnevale in Sardegna 2009
Quest’anno abbiamo deciso di andare a festeggiare il Carnevale nella provincia di Nuoro. Non siamo partiti come “turisti fai date” (cosa che abbiamo l’abitudine di fare) ma con l’Associazione Culturale Orizzonti a cui siamo iscritti.
Sabato scorso 21 febbraio, con un autobus gran turismo, ci siamo diretti alla volta di Civitavecchia. Abbiamo effettuato la traversata a bordo del traghetto Nuraghe della Tirrenia.Temevamo, visto che le condizioni atmosferiche dei giorni precedenti non erano state rosee, di trovare il mare mosso ed invece siamo stati fortunati sia all’andata che al ritorno. Alle 6 del mattino siamo sbarcati ad Olbia e ci siamo subito diretti a Nuoro. Durante il tragitto abbiamo assistito al sorgere del sole che,come una palla infuocata, si sollevava dall’orizzonte ed illuminava il paesaggio, alquanto vario, che si presentava ai nostri occhi: pianure ricoperte da una spessa coltre di brina, boschi di lecci o di querce da sughero, olivi, pini,cespugli di macchia mediterranea, colline,alture di granito rosa. Nei prati, e questo è stato un tema ricorrente, abbiamo visto tante greggi al pascolo e quelle pecorelle mi hanno fatto ricordare il famoso “intervallo” della Rai. Questi paesaggi agresti mi hanno trasmesso tanta tenerezza, serenità, calma. Dopo circa un’ora di viaggio siamo giunti all’Hotel Euro, un tre stelle, vicino al centro storico e commerciale di Nuoro. Io e mio marito siamo andati in giro per visitare la Cattedrale edificata nel XIX secolo, in stile neoclassico, dedicata alla Madonna della Neve. Successivamente ci siamo recati verso corso Garibaldi che separa i due rioni dellla città vecchia:Santu Pedru in alto e Seuna in basso. Siamo partiti dal rione in alto. Abbiamo preso via Grazia Deledda dove, al civico 42, si trova la casa museo dedicata alla vita e all’opera della vincitrice del premio Nobel per la letteratura nel 1926.La cucina e la dispensa sono state ricostruite sulla base del romanzo autobiografico “Cosima”; in esse sono collocati arredi e suppellettili d’epoca ed alimenti freschi che vengono sostituiti in relazione al variare delle stagioni (non vi dico il profumo che emanavano le caciotte). In tutto questo rione si trovano dei pannelli di ceramica che ripropongono frasi tratte dai libri della Deledda.I A Santu Pedru si respira l’aria di una vita di altri tempi descritta nell’opera di Salvatore Satta “Il giorno del Giudizio”: “Non ha colori,: ha case alte che danno su vie strette e per vedere il cielo bisogna guardare in su...”. Da via Deledda siamo andati in piazza Satta dove abbiamo ammirato le sculture che lo scultore Nivola gli ha dedicato. Si tratta di rocce naturali del monte Ortobene che contengono piccoli bronzi che ritraggono il poeta e scene di vita della barbagia. Poi abbiamo visitato la chiesa di Nostra Signora del Rosario risalente al ‘600 e quella di Santu Ceralu al cui interno è conservata una copia della scultura “Madre dell’Ucciso” con cui il nuorese Francesco Ciusa vinse il primo premio per la scultura alla Biennale di Venezia nel 1907. Poi abbiamo percorso nuovamente corso Garibaldi dalla parte opposta per raggiungere il rione Seuna dove abbiamo visitato la chiesa della Madonna delle Grazie risalente al 1670. Non abbiamo fatto in tempo a visitare il Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari Sarde che alcuni nostri amici hanno giudicato molto interessante e ricco. Al suo interno ci sono circa 80 abiti maschili e femminili, capi per bambini, gioielli, armi, maschere, pani, 60 strumenti della musica popolare ecc... A mezzogiorno ci siamo recati a pranzare presso il ristorante dei Fratelli Sacchi sul monte Ortobene. La strada panoramica che sale sul monte si arrampica sul costone granitico della montagna tra boschi di lecci e da qui si può ammirare un bellissimo panorama della città. I ristoratori ci hanno accolti con grande cortesia e subito hanno cominciato a servirci dell’ottimo vino rosso ed il famoso pane sardo “carasau” (una sfoglia sottile molto croccante) a cui hanno fatto seguito un antipasto di salumi e formaggi tipici del luogo, un primo piatto costituito da “gnocchetti sardi” conditi con un sugo insaporito da pezzetti di salsiccia. Come seconda portata ci hanno preparato il famoso “porceddu” (maialino da latte) arrosto e del vitello che si scioglieva in bocca e ci trasferiva tutti gli aromi ed i profumi delle erbe dei pascoli sardi.Alla fine ci hanno deliziato con la macedonia ed un dolce sardo “Sebadas”: una specie di frittella gigante fatta con una pasta simile alla sfoglia con all’interno del formaggio fuso e ricoperta di miele caldissimo.E, dulcis in fundo, qualcuno ha assaggiato il “Mirto” tipico liquore sardo ottenuto dalla macerazione dei frutti di mirto e dalla successiva spremitura.Per digerire ci siamo diretti verso la statua del Redentore. Il monte Ortobene fu scelto da Papa Leone III per accogliere, in occasione del Giubileo del 1900, una delle 20 statue dedicate al Cristo Redentore, fatte realizzare dalla chiesa di Roma e donate ad altrettante città d’Italia. Sulla cresta occidentale del Monte Ortobene, il 20 agosto del 1901, fu collocata la statua in bronzo del Redentore alta 7 metri, realizzata dallo scultore calabrese Ierace. Subito dopo ci siamo diretti con il nostro bus verso Mamoiada per assistere alle sfilate carnevalesche dei Mamuthones e degli Issohadores.La loro origine è molto antica e numerose sono le interpretazioni circa il loro significato. Alcuni dicono che la loro danza è un rito che servirebbe ad allontanare il male per favorire un raccolto abbondante. Ma veniamo ai loro costumi. I Mamuthones portano sul viso una maschera lignea nera che ancora oggi, spesso, viene realizzata da coloro che sfilano. Indossano giacca e pantaloni di velluto con sopra delle pelli di pecora nera, scarponi in pelle e sulla schiena portano dei campanacci dal peso complessivo di circa 40 Kg. che devono scuotere saltellando a destra e sinistra. Infine sul capo allacciano un fazzoletto che chiude e ferma il cappello sulla maschera. Gli Issohadores indossano parte degli indumenti del costume tradizionale maschile: sul capo portano un berretto che viene tenuto da un fazzoletto colorato, la camicia del costume, un corpetto rosso, i calzoni bianchi, uno scialletto ricamato che viene legato in vita. Gli altri accessori sono la sonagliera e la fune di giunco intrecciato con cui, ogni tanto, prendono al lazzo alcuni spettatori. Abbiamo assistito alle loro sfilate, scattato numerose foto, girato filmini e poi alcuni di noi hanno voluto, raggiunta la piazza del paese, unirsi agli abitanti e ad altri ospiti per fare un girotondo a passi di danza.Il giorno seuccessivo siamo andati a visitare il Nuraghe di Abbasanta: un nuraghe che è costituito da una torre principale intorno a cui sono disposte tre torri più piccole. Poi ci siamo diretti verso Il Paulilatino, un nuraghe con annesso il villaggio di santa Cristina e l’omonimo Tempio a pozzo. Nel pomeriggio siamo andati ad Ottana per vedere le maschere di questa cittadina.La caratteristica principale è data dalle particolari maschere dei Boes che fanno risuonare i campanacci portati con lunghe corde di cuoio dai Merdules.Si differenziano dai Mamuthones perchè indossano pelli di pecora bianche e portano sul viso maschere in legno raffiguranti bovini con corna più o meno lunghe e con, intagliate, una stella sulla parte centrale e due foglie lungo gli zigomi. Anch’essi indossano circa 40 kg. di campanacci. I Merdules raffigurano gli uomini e indossano maschere in legno spesso deformate per simboleggiare la fatica quotidiana , le loro pellicce sono bianche o nere e, sulla spalla, portano uno zaino. Spicca un’altra figura la “Filonzana”una specie di strega che fila “il filo della vita”e, quando vede qualche persona che non le aggrada, lo taglia e questo è segno di cattivo presagio.Ad Ottana erano soprattutto i bambini che si erano mascherati da Boes ed anche qui ci siamo fatti coinvolgere dalle danze dei locali.Terzo ed ultimo giorno in Sardegna: le condizioni atmosferiche non erano per niente favorevoli a quello che ci aspettava: il cielo era plumbeo e pioveva, faceva freddo. Per niente intimoriti, siamo partiti per Orgosolo, comune della provincia di Nuoro, famosa per i Murales.Il primo fu realizzato nel 1969 ,durante gli anni della contestazione giovanile, da un gruppo anarchico milanese ma il vero fenomeno muralistico è nato nel ’75 grazie al Professor De Casino che chiese agli alunni della scuola media di abbellire le pareti vuote di alcune strade. Oggi i murales sono circa 150 e rappresentano la resistenza contro i fascisti ed i nazisti,le problematiche di politica locale o internazionale, ecc.. Era giunta ormai l’ora della pappa. Sapete dove siamo andati a pranzare? La nostra guida, Martino, era un giovane di 35 anni che ci ha condotti da Orgosolo a Supramonte, dove abbiamo pranzato con i pastori, per immergerci nella cucina tradizionale barbaricina.Ci hanno fatti accomodare all’interno di una costruzione perchè , visto che pioveva e faceva molto freddo, non era possibile mangiare all’esterno come io avevo fatto a Pasqua di qulache anno fa.Ad ognuno di noi è stato dato un tagliere su cui è stato appoggiato un pane rotondo schiacciato e morbido dove sono stati adagiati salumi e ricotta affumicata come antipasti, pecora bollita con patate lesse come primo, maialetto arrosto come secondo, pane curasao, il tutto anaffiato da un corposo vino locale che ci ha resi tutti, tranne l’autista Luigi e qualche astemio, molto allegri e chiaccherini.Per finire ci hanno servito un dolcetto tipico ed un bicchierino di “Filu e Ferru”, una acquavite ad altissima gradazione.Poi è arrivata la sorpresa finale:”Il canto a tenore”. Si tratta di un quartetto che è formato da un basso , un baritono,un contralto ed un solista. I suoni gutturali vengono emessi da una vibrazione continua delle corde vocali.E’ stata un’esperienza positiva sotto tutti i punti di vista: abbiamo vissuto a contatto con una natura incontaminata, con gente semplice ma desiderosa di far conoscere le proprie tradizioni, i propri usi e costumi.
http://erikanapoletano.blogspot.com/2009/02/carnevale-in-sardegna.html
e allora viva il carnevale!ciao buon week end
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